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09 Aprile 2024

NERI MARCORE' ALL'APOLLO

SABATO 13 APRILE NERI MARCORE' ENTRERA IN SALA PER SALUTARE IL PUBBLICO ALLO SPETTACOLO DELLE ORE 19.00

 

Il trentenne Walter Vismara ama condurre una vita ordinata e senza sorprese:
ragioniere nell'animo prima ancora che di professione, lavora come contabile in una
fabbrichetta di Vigevano.
Da un giorno all'altro la fabbrica chiude e il Vismara si ritrova suo malgrado
catapultato in un'azienda avveniristica della vitale e operosa Milano, al servizio di
un imprenditore moderno e brillante, il cavalier Tosetto.
Andrebbe tutto bene se non fosse che costui ha il pallino del folber (il football,
secondo un neologismo di Gianni Brera) e obbliga tutti i suoi dipendenti a sfide
settimanali scapoli contro ammogliati.
Walter, che considera il calcio uno sport demenziale, si dichiara portiere solo perché
è l’unico ruolo che conosce e non sa che da quel momento, per non perdere
l’impiego, sarà costretto a partecipare agli allenamenti settimanali, in vista della
partita ufficiale del primo maggio. Subisce così lo sfottò dei colleghi; tra questi,
l’ingegner Gusperti lo ribattezza sarcasticamente “Zamora”, il fenomenale portiere
spagnolo degli anni ‘30. Non solo quel bauscia lo umilia in campo e lo bullizza in
azienda, ma tra lui e Ada, la segretaria di cui Walter si innamora, sembra esserci del
tenero. Sentendosi umiliato, tradito da una parte e deriso dall’altra, il ragioniere
escogita un piano del tutto originale per vendicarsi, coinvolgendo un ex-atleta ormai
caduto in disgrazia. Nel calcio, come del resto nella vita, bisogna imparare a buttarsi
e anche se perdi, ciò che conta è rialzarsi e ripartire più forti di prima.

Parafrasando Moretti in Sogni d’oro, “Zamora è il mio film più bello”. Anche perché
è l’unico che abbia mai diretto ma mi auguro davvero non sia l’ultimo, perché è
stata un’esperienza entusiasmante per me, a cominciare dal rapporto umano prima
ancora che professionale che si è instaurato con tutte le persone che hanno
collaborato a questa produzione. Alcune le conoscevo da anni e mi ero ripromesso
che laddove avessi esordito come regista mi sarebbe piaciuto averle accanto; per
fortuna si sono rese quasi tutte disponibili. Altre le ho conosciute in questa occasione
e si sono rivelate magnifiche scoperte. Se Zamora incontrerà i favori del pubblico e
della critica, il merito è di tutta la squadra, da chi ha iniziato a scrivere la storia
insieme a me a chi ha messo il sigillo sui titoli di coda. In ogni caso me ne prendo
tutta la responsabilità, perché il film rispecchia totalmente il mio gusto e ciò che
volevo raccontare a partire dalla base del romanzo di Roberto Perrone, a cui ho
voluto dedicarlo. A tal proposito, se c’è un rammarico è quello di non essere riuscito
a fare in tempo a mostrargli altro che qualche foto di scena e piccoli spezzoni
montati, ma la sua commozione alla lettura della sceneggiatura resta per me
motivo di gioia e ricordo dolcissimo.
I personaggi maschili di Zamora hanno tutti qualche limite: la riservatezza di Walter
è in fondo presunzione di superiorità mista al timore di buttarsi ed esporsi allo
sguardo altrui; piuttosto che aprirsi e affrontare le situazioni con maturità preferisce
rifugiarsi nel risentimento e in un asfittico desiderio di vendetta. Suo padre fa il
brillante in società ma è un piccolo borghese che si preoccupa più del giudizio dei
vicini che di conoscere davvero suo figlio; il cavalier Tosetto, il nuovo datore di
lavoro, considera il calcio una sorta di religione e obbliga dispoticamente i suoi
dipendenti a praticarlo con regolarità; l’ingegnere Gusperti, l’antagonista sbruffone
e competitivo, è un donnaiolo impenitente che lo bullizza fuori e dentro l’azienda;
Cavazzoni, che diventerà il suo mentore, è un ex portiere caduto in disgrazia dedito
all’alcol e al gioco d’azzardo. Tutti, o quasi, saranno chiamati a compiere
un’evoluzione che possa renderli meno ridicoli e grotteschi al termine dell’arco
narrativo.
Le figure femminili, di contro, sono tutte moderne e decisamente superiori per
sensibilità e intelligenza. Ada, la ragazza di cui Walter si innamora, pur rispettando il
codice comportamentale cui era ancora tenuta la donna negli anni ‘60, è del tutto
indipendente e sgombra da preconcetti; Elvira Vismara, sorella del protagonista,
rivendica il bisogno di una vita piena e felice a dispetto delle convenzioni sociali; sua
madre Anna non si dimostra meno libera e moderna quando è il momento di
appoggiarla, così come non fa mancare a Walter, senza essere soffocante, l’affetto e
la fiducia che lo sostenga nella sua emancipazione; Dorina, giovane e disinibita,
anticipa e rappresenta pienamente lo spirito della rivoluzione culturale
sessantottina.
Si trattava poi di rappresentare gli anni ’60 anche dal punto di vista cromatico: non
potendo attingere a documenti che ci restituissero i colori di quell’epoca, dato che
foto e film erano essenzialmente ancora in bianco e nero, bisognava inventare dei
toni suggestivi ed evocativi. Era un’Italia vivace, allegra, ambiziosa, sulle ali di uno
sviluppo economico grazie al quale il benessere, la felicità sembravano essere alla
portata di tutti; ma era un’Italia altrettanto semplice, pervasa da un sentimento di
innocenza e di entusiasmo, come succede quando ancora non si percepiscono le
turbolenze dell’adolescenza e si respira a pieni polmoni l’incoscienza di un’infanzia
che ci illudiamo possa essere eterna.

La musica dell’epoca non poteva che rispecchiare questa ricchezza e ci siamo dotati,
oltre che delle atmosfere composte ad hoc da Pacifico, di brani originali che
sembrano essere stati scritti apposta per accompagnare determinati passaggi della
storia, particolari umori dei protagonisti.
Zamora racconta del potere che ha l’amicizia nell’aiutarsi reciprocamente e
risollevarsi, racconta di un Paese e di un periodo che possono essere riassaporati per
un attimo col sorriso e il proditorio soffio di una carezzevole nostalgia, mentre
seguiamo un giovane uomo nel suo personale percorso di formazione: imparerà che
è meglio affidarsi alla vita e all’amore senza troppi calcoli piuttosto che covare il
rimpianto di non aver vissuto o amato affatto; e che quando non c’è modo di
rimediare a una delusione profonda che si è procurata, è bene accettarlo prima
possibile, chiedere scusa e perdonarsi, per poi tornare a guardare avanti.
Neri Marcorè

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